Oro alla patria (racconto)

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+Brando+
00venerdì 1 aprile 2005 15:03
ORO ALLA PATRIA

I fari inquadrano la villa, l'elaborato cancello in ferro battuto, le alte palme, le aiuole colme di piante, il prato all'inglese, le colonne che sostengono la lunga balconata del primo piano che si allarga sui portale di noce. Tutto è curato con meticolosità. Scende dall'auto, sospinge il battente destro con visibile sforzo, ma subito il giardiniere, come sbucato dal nulla, si precipita ad aiutarlo e quasi lo rimprovera: "Professore, professore, ma che fa? Provvedo io, stia comodo!"
Il professor Olisio Ratti riprende la guida e conduce la monumentale Isotta Fraschini nell'autorimessa,ricavata da una delle scuderie alle spalle della villa, inseguito dal servizievole giardiniere. Spegne i grossi fari nichelati che sovrastano, come occhi di drago, gli arcuati parafanghi, toglie il contatto e lascia l'auto alle cure del dipendente. Percorre il vialetto ghiaioso che aggira la villa fino all'ingresso principale, osservando compiaciuto la sua proprietà e aspirando voluttuosamente i mille odori del suo giardino, dominati da quello resinoso della vicina pineta che si arrampica sulle pendici dell'incombente vulcano. La porta si spalanca, un'intensa luce lo abbaglia e la calda atmosfera della sua casa lo avvolge. Abbraccia la moglie e la precede nell'ampio salotto arredato in puro stile Luigi XVI. Molti dei mobili sono autentici Avril Etienne dalle superfici impiallacciate e sottolineate da una snella cornice di bronzo. Quattro giovinetti lo salutano rispettosamente, ma il suo sguardo si illumina solo quando il primogenito, Nico, lo bacia sulla folta barba sollevandosi sulla punta dei piedi per raggiungere il volto dell'imponente e massiccio genitore. E già alto e robusto per i suoi tredici anni e i sottili capelli biondi mascherano il volto tondo, gli occhi leggermente sporgenti e quel sorriso che gli conferisce un atteggiamento ebete che il padre ignora, mentre osserva compiaciuto la peluria bionda che ricopre le guance, il mento, il collo in una prospettiva non lontana di barba. Allontana con dolcezza il ragazzo ed entra nel suo studio, appoggia sullo scrittoio la grande borsa di coccodrillo che reca sempre con sé e si abbandona stanco ma soddisfatto sulla poltrona veneziana Luigi xvi, mentre l'occhio passa in rassegna gli attestati e le onorificenze occhieggianti da elaborate cornici dorate: certificato di laurea, la nomina a Gran Cordone della Corona d'Italia, quella di Professore Insigne dell'Università di Napoli e di membro della Reale Accademia d'Italia. E uno scienziato illustre, un biologo di fama internazionale all'apice della carriera. Il Regime se ne è impadronito e lo sfoggia in ogni occasione. Ha dato l'esempio quando per il conflitto etiopico si donava l'oro alla patria e sulla piazza del paese si è sfilato la vera, subito imitato dalla moglie, e l'ha consegnata al podestà in alta uniforme alla presenza del Federale e attorniato dai figli vestiti da balilla, figli della lupa e piccole italiane. E proprio un'edificante manifestazione e i discorsi patriottici zeppi di citazioni mussoliniane sembrano infiammare tutti quei poveretti che si accalcano ai piedi del palco delle autorità e che, umili ma fieri, ascendono fino al capiente cesto per lasciarvi cadere vere, catenine, leggeri braccialetti d'oro frutto di fatica e di sudore, accompagnati da esaltanti inni diffusi dai grandi altoparlanti dell'Eiar ancora echeggianti della metallica voce del Duce. Poi il corteo dalla piazza del Comune al largo prospiciente la villa Ratti, attraverso quella specie di budello che costituisce il cuore della cittadina vesuviana, sotto vecchi balconi dalle ringhiere di ferro e dall'impiantito con la solita consunta lastra di marmo di infima qualità, sfiorando le porte dei "bassi", i carrettini con un ricordo di pittura sgargiante accerchiati da nugoli di mosche, zanzare e moscerini che ballano l'interminabile danza fino a quando una mano li schiaccia e poi munita di mestolo si affonda nel pozzetto del limone, della fragola, della nocciola e della cioccolatta per servire i clienti. Ma altre legioni d'insetti si precipitano a prendere il posto dei caduti. Le insufficienti fontanine pubbliche lasciano scorrere quel filo d'acqua che tutto il giorno vede una folla di donne, bambini e vecchi riempire secchi, fiaschi e bottiglie che vengono svuotati negli sbrecciati acquai dove mani avide si immergono per un tentativo di pulizia che, presto deluso, cade nell'indifferenza e nella rassegnazione. I rubinetti solo qualche volta concedono qualcosa di più di poche gocce del prezioso liquido e gli sciacquoni non raggiungono mai il livello sufficiente per fare ingoiare il materiale fetido e scuro che i tanti abitanti producono perché la vita deve continuare, non può arrestarsi perché l'ottocentesco acquedotto non riesce a soddisfare quel minimo di vitali esigenze di cittadini di uno stato che pur invia spedizioni per conquiste coloniali dal costo di fior di milioni. Un paio di pizzerie sono aperte e mani abili, ma dalle unghie nere di sudiciume, impastano la farina dove riversano l'acqua raccolta di prima mattina e cospargono di pomodoro e mozzarella il tondo appena formato. Fulminea la stessa mano schiaccia o scaccia una mosca e si solleva a detergere il sudore che, traboccante per il movimento e il calore del vicino forno a fascine, scorre abbondante sulla fronte, o si abbassa per quietare un improvviso prurito della zona scrotale per poi ritornare alla precedente funzione. Questurini si precipitano ad imporre ai gelatai di far sparire quegli indecenti carretti e a far sloggiare la povera umanità dalle fontanine dove un operaio dell'acquedotto si affretta a serrare il bullone. Nel corteo vi è un delegato del Partito giunto per l'occasione da Roma: non si deve permettere che riferisca quelle miserie, il solo pensiero che possano giungere all'orecchio del Duce, che turbino la sua grande mente dedita a ben altri traguardi, atterrisce le autorità locali!
Dispute si accendono qua e là presto sedate dai rappresentanti di quello stato forte, autorevole, che non ammette contraddittorio.
Ed ecco la grande e assolata piazza dominata dalla villa dei Ratti, che appare quasi come una reggia fra le basse e scalcinate costruzioni che chiudono il rettangolo in forte pendenza con il selciato consunto e sconnesso, ma in via di sostituzione. Piccoli e malaticci platani fanno una ben magra figura in confronto alla selezionata vegetazione della residenza dello scienziato. Si intravvedono cedri e auraucarie, numerose bellissime acacie dal fogliame elegante e leggero e con fiori gialli dorati, eucalipti, lecci, platani e tamerici, mentre dai muri traboccano le bougainvillee dal vivacissimo colore violetto e si arrampicano dovunque lussureggianti bignonie e gli odorosi gelsomini. La compagnia si scioglie e il professor Ratti, seguito dalla moglie e dai figli, scompare con andatura solenne in quella specie di Eden.


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